martedì 2 aprile 2013

Commuoversi per un piatto di spaghetti!

Apro gli occhi nel buio più assoluto.
Niente che mi fornisca il benchè minimo indizio su dove mi trovi stavolta.
Sono ancora su quel maledetto pullman, rannicchiata in posizione fetale cercando di non sbattere la testa contro il finestrino ad ogni curva?
No, sono comodamente distesa in un letto, e percepisco il refolo dell'aria condizionata sul coppino.
Marco russa placidamente al mio fianco.

Ah, già, siamo arrivati ieri mattina nel Bunker, siamo a KeyKey, controllo l'ora e scopro che sono le sei meno un quarto, come da mia abitudine. Cercando di non svegliare Marco leggo un po', cerco qualche notizia sulla città, mi appisolo di nuovo, e in un lampo sono le otto.
Sveglio Marco, ci docciamo e usciamo in esplorazione. Colazione in albergo (niente pancakes affogati nel miele! In compenso una mega tazza di cereali e una bella porzione dell'immancabile papaya fresca) e un salto nel panificio di fronte, per rifornirci dei fantastici panini dolci, soffici come nuvole e ricoperti di marmellata, che costano solo 2 banane (sempre ringgit, n.d.r.) e che sono una vera delizia.
In due minuti raggiungiamo la fermata del bus che abbiamo già utilizzato ieri per raggiungere il centro cittadino. I mezzi pubblici qui sono rappresentati da mini van scalcinatissimi che girano ininterrottamente per la città. Quando un bus è pieno (circa una decina di persone accalcate con le ginocchia in bocca) riparte. Per scendere ad una fermata basta bussare con le nocche sul vetro e l'autista accosta a bordo strada. Quando si smonta si paga l'obolo: un ringgit, indipendentemente dalla distanza percorsa. Di biglietti o macchinette per obliterare nemmeno l'ombra. Nessuno ringrazia, nessuno saluta, pochi parlano, qualcuno sputa dal finestrino. Il caldo è micidiale, l'aria afosa e pesante nonostante i finestrini aperti. Sul bus di oggi ci dev'essere una perdita nel tubo di scarico, perchè il fumo del motore filtra direttamente all'interno dell'abitacolo, e precisamente sotto i piedi di Marco!
In dieci minuti comunque raggiungiamo il centro della città, che si estende sul "lungomare": quello che stiamo osservando ora è il Mar Cinese del Sud, e se non altro non è ricoperto di rifiuti! A poca distanza si stagliano alcune isolette, mete turistiche per escursioni giornaliere di snorkelling ed immersioni.
Girovaghiamo per un paio d'ore mentre il sole si fa sempre più cocente sopra le nostre teste. Alla fine ci rifugiamo in un centro commerciale, ma dopo poco ci arrendiamo e torniamo in albergo.
Verso le sette, quando il sole è appena tramontato, ci rimettiamo in marcia. Obiettivo della serata: trovare un ristorante italiano in cui risollevarci il morale!
Dovremmo anche incontrare Lare e Minna, una coppia finlandese che abbiamo conosciuto negli ultimi giorni trascorsi a Mabul. Subacquei esperti, simpatici e solari, abbiamo condiviso con loro alcune immersioni (Mantapoint, Seaventure, Awas) e hanno anche fatto una immersione di prova con i nostri mascheroni granfacciali!
L'istinto e lo stomaco ci spingono ad accomodarci ad un tavolo di Gusto - Food and Wine, un ristorante con vista mare dall'atmosfera semplice ma di grande effetto. Il menù è incoraggiante: non troviamo "rissoti" o "vegetarian amatriciana", ma "cozze alla marinara", "carpaccio di tonno", "tiramisù" e "spaghetti allo scoglio". Scambiamo uno sguardo con lo chef, che spadella nella cucina a vista, e immediatamente ci riconosciamo come connazionali.
Cristiano, milanese di origini siciliane, è saldamente trapiantato nel Sud Est Asiatico da una decina d'anni. Con la sua famiglia (la bella moglie tailandese, la mamma siciliana e la vivace figlioletta) ha ricreato un angolo d'Italia che scalda il cuore a noi nostalgici. Sarà che in questi giorni il mio umore non è stato ai massimi livelli, ma il piatto di spaghetti al pomodoro che Cristiano mi serve al tavolo mi suscita delle strane emozioni. Il primo boccone mi provoca quasi le lacrime agli occhi. La pasta è al dente, il sugo saporito. Un filo d'olio d'oliva a crudo esalta la leggerezza del piatto, un ciuffo di basilico spande il suo profumo ed esalta l'aroma del pomodoro. Sto mangiando un piatto di spaghetti identico a quello che mi sarei fatta io, nella mia cucina di Como (beh, diciamoci la verità: pure meglio di quello che avrei cucinato io!).
Marco, di fronte a me, sta assaporando una succosa bistecca di manzo, al sangue al punto giusto, contornata da patatine al forno croccanti e dorate.
Ragazzi, siamo in visibilio!!
La serata viene ulteriormente arricchita da una lunga chiacchierata con Cristiano, al momento del caffè. Ci racconta delle sue esperienze, in Indonesia, in Tailandia ed in Malesia. Ci offre il suo punto di vista sulle usanze, le abitudini e le culture di tre paesi vicini eppure così diversi. Inevitabilmente alla fine il discorso scivola sull'inquinamento, sulla mancanza di sensibilità e di consapevolezza che, è triste dirlo, caratterizzano i malesiani. "Ma lo sapete che qui, nel Borneo, fino a tre-quattrocento anni fa c'erano solo gli oranghi? Poi sono arrivati i cinesi, i filippini, gli indonesiani, e oggi di oranghi non ce n'è praticamente più!" sbotta Cristiano, che evidentemente è innamorato di queste terre e non sopporta di assistere alla loro lenta ma inevitabile rovina. "Da noi, quando sei bambino, se butti una cartaccia per terra ti becchi una sgridata e magari pure un calcetto nel culo! Qui invece ai bambini non viene insegnato il rispetto per l'ambiente, bisognerebbe cominciare ad istruire gli insegnanti, perchè trasmettano i giusti valori nelle scuole! Invece l'acqua qui viene considerata fogna. Se bevi una coca cola e butti la lattina in mare, è normale!".
Ci racconta dei suoi sforzi, delle litigate, delle lamentele che riceve puntualmente, perchè lui non è uno capace di stare zitto. Ci parla dei suoi tentativi di collaborare con le associazioni ambientaliste locali, di come abbia offerto lo spazio del ristorante per affiggere manifesti e poster informativi, per sensibilizzare la cittadinanza sul problema dell'inquinamento.
Ci piace molto, Cristiano, e gli siamo grati per averci regalato una così bella serata a Kota Kinabalu. Ci offre gli ultimi consigli pratici ("Il carbone vegetale fa miracoli per combattere le intossicazioni alimentari!") e poi ci
salutiamo, con la speranza assurda di ripassare da questa città solo per poter assaporare di nuovo i suoi piatti e la sua compagnia.
E' tardi ormai per trovare Minna e Lare; li cerchiamo tra i vicoli del mercato notturno, che ancora risuona di voci e si riempie degli odori del cibo cucinato al momento nei mille baracchini, ma senza successo.
Dobbiamo ancora (ri)fare i bagagli, domattina alle 4 e mezza abbiamo il tranfert per l'aeroporto. Si conclude così la nostra ultima serata nel Borneo, terra di profughi e di viaggiatori, di paradisi tropicali e di distese inquinate, di pesci sfavillanti e di scimmie in via d'estinzione.

P.S. Lo sapevate che il nome dell'orango deriva dall'espressione malese Orang Hutan, che letteralmente significa "Uomo della Foresta"?   
   

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